Sono mamma da 18 anni, da quando a 27 anni sono rimasta incinta al secondo tentativo del mio primogenito. La gravidanza tanto desiderata (erano 2 anni che conoscevo mio marito e che avremmo voluto concepire un figlio, ma problemi di lavoro ci avevano suggerito di rimandare) si è rivelata con attacchi di sonno e di stanchezza, oltre che con leggere nausee e avversioni alimentari. Abitavo a 350 km da tutte le amiche e da mia madre, e dal mio ginecologo.
Nessuna delle mie amiche, eccetto una, aveva mai partorito.
Mio marito, dichiaratosi da sempre entusiasta di avere un figlio e innamorato di ogni donna incinta che incontrava, invece di supportarmi, sconcertato dalla mia stanchezza (alle 8 di sera mi addormentavo con la testa sul tavolo) e dalla mia mancanza di interesse fisico verso di lui (chiaramente frutto di nausee e stanchezza), ha cominciato a farmi scenate di gelosia come un primogenito trascurato.
Piangevo spesso, non sapevo cosa dire a mio marito e la stanchezza e il fatto di addormentarmi di continuo mi avevano fatto temere di avere qualche brutto male.
Ricordo che mi sfogavo con una collega, che però, non essendo mamma, non poteva darmi molte indicazioni. Non avendo un ginecologo di fiducia accessibile, ho girato diversi ambulatori, senza ricevere nessuna informazione e anzi uscendo da certi incontri alquanto depressa.
Ecco: avrei avuto bisogno di un cerchio di donne, di una doula, che mi spiegasse che tutto quello che stavo vivendo era normale, che mi accogliesse, che accogliesse le mie ansie, i miei timori, che mi dicesse “passerà e ti sentirai meglio....” con competenza, sapere ed empatia, e ne avrebbe avuto bisogno anche mio marito.
Una doula poi l'ho avuta, è stata l'ostetrica al mio primo parto, che ha passato tutta la notte con me mentre mio marito era a casa a riposare, per mio volere (ero in ospedale lontano 45 minuti da casa con le acque rotte da 2 giorni), parlandomi, accarezzandomi la mano, scherzando e ridendo con me. Il giorno dopo dissi a mio marito “Se avessi avuto una sorella per ostetrica non avrei potuto sentirla più vicina di così”. Ero stata fortunata, quella notte a Tolmezzo era nato solo mio figlio e io avevo avuto l'ostetrica migliore del mondo tutta per me.
Forse di una doula avrebbe avuto bisogno mio marito, che non riusciva a capire i cambiamenti che il travaglio portava in me e che io avevo bisogno di silenzio, che era normale che mi vedesse "strana", e che non avevo bisogno di discorsi che mi portassero "di qua", che il mio stato di trance durante le contrazioni era qualcosa di normale, di funzionale al parto imminente.